Il caso cassonetti a calotta di Hera: riflessioni e spunti per non commettere i suoi stessi errori in un progetto imprenditoriale.

Il caso cassonetti a calotta di Hera: riflessioni e spunti per non commettere i suoi stessi errori in un progetto imprenditoriale.

A Ferrara, fino a pochi giorni fa, la differenziata dell’immondizia era ritenuta un onere civico, ma ora con l’introduzione del nuovo sistema di raccolta basato sui cassonetti a calotta è diventato un impegno, quasi d’obbligo. Non potendo rifiutare tale sistema o cambiare gestore, i clienti si sono ritrovati davanti ad una forzatura che non ha preso in considerazione il loro volere o punto di vista. Da semplici clienti si sono ritrovati obbligati ad un servizio che non hanno richiesto e che sono costretti a pagare come normale tassa dei rifiuti.

Il risultato -palesemente evidente- è stata una vera e propria sensazione di sdegno e insoddisfazione collettiva, fomentata particolarmente sul canale online. Sui principali gruppi di condivisione della città le persone hanno trovato in Facebook una piazza dove manifestare il proprio dissenso. Ben più gravi sono state le azioni di anarchia urbana diffuse in tutta la città, che ha trasformato le stazioni ecologiche, dotate del nuovo sistema con cassonetti a calotta, in vere e proprie discariche a cielo aperto

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In questa situazione appare evidente che Hera, l’azienda che ha in appalto dal Comune di Ferrara la gestione del servizio rifiuti, ha commesso l’errore di non valutare attentamente il proprio target verso cui rivolgere il nuovo sistema di raccolta, oppure ha sottovalutato l’opinione della collettività. In altre parole non è stata data importanza al pensiero di coloro che si sono improvvisamente ritrovati ad utilizzare un nuovo sistema di raccolta dei rifiuti, che potremmo definire quasi rivoluzionario! Vediamo quindi di indagare in modo più approfondito quanto appena espresso.

Come sappiamo le innovazioni sono spesso oggetto di disagi e problematiche momentanee, ma in questo caso ci troviamo di fronte ad una situazione destinata non certamente a migliorare (almeno nel breve periodo). Per sopperire al gap informativo è stata fatta una comunicazione alquanto scarna, considerato il salto di qualità del nuovo sistema, ma soprattutto il poco tempo necessario a diffondere la notizia a tutte le fasce di età della popolazione soggetta a questa novità.

E’ risaputo che Ferrara è una città poco aperta alle innovazioni al punto da provocare contrasti, molti dei quali sfociati in vere e proprie divergenze sociali. Di fatti esistono sicuramente le eccezioni ma Ferrara è perlopiù una città “chiusa” poco incline ai mutamenti, che ha scelto di preservare stili, usi e costumi ben radicati sul territorio ma assai diversi dall’attualità. Ferrara da un punto di vista sociale e culturale ha una mentalità “vecchia” che si ripercuote duramente sull’aspetto imprenditoriale e quindi anche sull’asset socio-economico dell’intera città.

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Insomma, come dicono in molti, Ferrara è una bella città a misura di anziano. Non a caso Hera ha sviluppato un video tutorial per spiegare il funzionamento del nuovo sistema dei cassonetti a calotta in dialetto ferrarese, per favorire un maggior livello di penetrazione sul territorio facendo leva sugli anziani. Nonostante tale azione si commenti da sola, da questo video percepiamo –visto l’opzione commenti disabilitata del video– che al gestore non interessa l’opinione o il giudizio di chi si troverà poi ad utilizzare il nuovo sistema dei cassonetti a calotta.

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Conoscere i feedback dei consumatori, il grado di apprezzamento e le opinioni condivise, oggi è considerato –da un punto di vista imprenditoriale- ORO che cola, dato che un tempo le informazioni per sviluppare un prodotto/servizio nuovo dovevano essere acquisite con lunghe e costose indagini di mercato. Parallelamente è considerato pericoloso poiché consente alle persone di pubblicare liberamente giudizi anche negativi, svolgere rimostranze pubbliche e pesanti critiche in grado di influenzare l’opinione pubblica (se su vasta scala). E’ per questo motivo che molte aziende, come Hera, scelgono di non aprire un canale Facebook o altre tipologie di condivisione collettiva delle informazioni, preferendo forme alternative di segnalazione PRIVATA usando le App degli smartphone, spesso con profondi gap da un punto di vista dell’accessibilità (anziani) e usabilità (dispositivi non compatibili).

In secondo luogo, per ragioni di trasparenza, i feedback esterni -se positivi- servono a mostrare con orgoglio il proprio prodotto/o servizio; contrariamente, se negativi, a nasconderne i difetti. In quest’ultimo caso se non si crea un canale unico dove convogliare e GESTIRE direttamente i feedback negativi, le persone, grazie ad Web 3.0, trovano comunque altri canali o piazze virtuali dove sfogare le proprie rimostranze, come ad esempio le testate giornalistiche online. In questo caso diventa più difficoltoso da parte dell’azienda intervenire perché non si ha l’accesso diretto per cancellare messaggi troppo invadenti o controbattere anche da un punto di vista costruttivo e intelligente.

Prendendo spunto da questa considerazione, scopriamo che il caso dei cassonetti a calotta di Hera è da giorni sulle prime pagine di tutti i giornali locali, poiché la pioggia di critiche, imprecazioni e rimostranze da parte della collettività è stata in grado di influenzare l’opinione pubblica, mostrando un profondo interesse –ampiamente condiviso- verso questa problematica.

Del resto, aprire un canale di comunicazione online usando Facebook o altre applicazioni interattive, per sondare il grado di interesse di un progetto di business o comprendere lacune che possono sfuggire in fase di produzione, aiutano ad anticipare le future scelte di business. Inoltre questi canali consentono anche di trovare persone esperte o guru del settore che sono in grado di indurre gli utenti alla positività verso un tale prodotto o servizio e in molti casi di influenzare le vendite.

Nelle imprese -in particolar modo nelle startup moderne- i cosiddetti “influencer” rappresentano una delle principali e moderne tecniche di marketing, che consentono di tutelare il brand, perfezionare la linea prodotti e aumentare le vendite; ma questo, è un altro capitolo!

Contattami -senza impegno- se desideri sviluppare una strategia marketing non solo finalizzata a svolgere attività di promozione, ma anche a raccogliere preziose informazioni dagli stessi clienti/consumatori, migliorando il prodotto o servizio e di conseguenza le vendite (basate quindi sulla reale richiesta di mercato).

Mi chiamo Davide Canella e sono uno specialista in Comunicazione e Marketing d’impresa. Lavoro come libero professionista implementando soluzioni di comunicazione integrata, miscelando Design e strategie on/offline! Scopri di più sul mio profilo e servizi:<a title="HOME-PAGE" href="http://www.hybriddesign.it/">...CLICCA QUI</a>Condividi l'articolo sui tuoi social, prima di lasciare questa pagina! Grazie mille! ^_^
L’importanza della User experience, prima della commercializzazione di un prodotto o servizi.

L’importanza della User experience, prima della commercializzazione di un prodotto o servizi.

Partiamo dal concetto di user experience o esperienza utente, ovvero ciò che una persona prova utilizzando un prodotto/servizio. In molti casi la user experience è in grado di far emergere elementi che aiutano a ottimizzarne le caratteristiche e quindi una facile vendita.

Se per molti l’user experience rappresenta un elemento cardine per la commercializzazione di un prodotto o servizio, per altri è un vero e proprio problema. Di fatto è con la user experience che emergono difetti di progettazione. Capire problemi o lacune di un prodotto non è semplice e in molti casi diventa un operazione lunga, complessa e costosa. Per aggirare il problema solitamente si avvia la commercializzazione, per poi correggere eventualmente con la realizzazione di prodotti sostitutivi. Questa soluzione non è assolutamente la strada corretta da adottare. Vediamo il perché.

In passato ho lavorato per aziende che producevano servizi, basati su attenti studi svolti da persone altamente specializzate e con un livello di professionalità davvero elevato. Date le premesse, partivano con la fase di vendita commerciale pensando di aver creato un servizio altamente performante. Ahimè, molti di questi si rivelarono di scarso successo, in particolare subito dopo le prime vendite. I consumatori hanno iniziato a recedere dal servizio oppure a rifiutare ulteriori abbonamenti, un po’ perché questo non rispecchiava le promesse fatte in fase contrattuale oppure per aspetti tecnici che ne limitavano il suo utilizzo.

Volete un altro caso, sicuramente ben conosciuto? I provider ADSL che vendono servizi vantaggiosi a prezzi di mercato si scontrano con i problemi tecnici solo nel momento in cui i suoi consumatori utilizzano tali servizi. Finte promesse, non mantenute e che celano dei veri e propri accanimenti verso la customer-service, troppo impegnata a risolvere i problemi tecnici invece di raccogliere le ragioni che emergono da tali complicazioni.

In questi casi si può comunque intervenire, sia da un punto di vista commerciale (finalizzato a non perdere il cliente = fidelizzazione), che da un punto di vista tecnico (sviluppando un secondo servizio in grado di sopperire i problemi tecnici evidenziati dal consumatore. Vediamo un caso sicuramente ben noto.

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Vi ricordate il Power Mac G4 Cube? Un computer di 20x20x20 Cm lanciato nel 2000, che prometteva grandi cose: tra cui il funzionamento silenzioso, grazie all’assenza delle ventole di raffreddamento. Andò fuori commercio l’anno dopo, dopo una pioggia incessante di proteste dei consumatori che lamentavano proprio il surriscaldamento della macchina. L’insuccesso tecnologico fu un tale flop che gli stessi consumatori si presero gioco del prodotto, trasformandolo ad esempio in un grazioso acquario domestico per pesci. Da questo fallimento fu sviluppato un prodotto simile (MAC Mini) solo nel 2007, dotato di una tecnologia sicuramente più avanzata, in grado sia di supportare complessi stress-test che il giudizio dell’ user experience.

E’ importante quindi valutare una fase di testing del prodotto/servizio, prima della sua produzione in scala industriale e quindi commercializzazione. La soluzione più congeniale è testare il prodotto o servizio non da chi lo ha creato (come spesso accade) bensì da chi è totalmente estraneo alla progettazione e sviluppo. Ancora più importante è gestire la fase di testing da più individui così da raccogliere più informazioni possibili.

ToyotaSe non siete convinti di ciò potete liberamente rischiare come fece la Toyota nel 2010 ritirando dal mercato 8.000.000 di autovetture per un difetto tecnico all’acceleratore (un problema scoperto dagli stessi consumatori). Riprendendo questo esempio, possiamo capire quanto sia stato elevato il danno di immagine del Brand (in termini di affidabilità), soprattutto a vantaggio della concorrenza, oltre alla perdita di valore delle azioni bancarie (oltre il 14% in una settimana). L’operazione di sostituzione del componente “fallato” ha spinto tutte le officine autorizzare Toyota a lavorare a rimanere aperte 24 h fino al totale risanamento di tutte le autovetture coinvolte.

Anche questo caso si è originato dalla foga di vendere, prima di aver adeguatamente fatto provare il prodotto o servizio ad un gruppo di futuri consumatori. E’ importante quindi saper raccogliere astutamente queste preziose informazioni e poi successivamente applicarle prima della produzione industriale.

Se desideri avviare un processo di testing e raccolta dati su prodotti e servizi contattami senza impegno. Vedremo assieme come catalogare pregi e difetti che derivano direttamente dal consumatore e che possono in alcuni casi far emergere aspetti in grado di arricchire le caratteristiche di prodotto o servizio da un punto di vista business.

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